
Il 6 gennaio 2021 migliaia di facinorosi sostenitori dell allora presidente Donald Trump, da lui sobillati, diedero lassalto al Congresso degli Stati Uniti, cercando dimpedire a senatori e deputati di certificare la vittoria di Joe Biden nelle elezioni presidenziali del 3 novembre: cinque le vittime, fra cui un agente.
Un anno dopo, l81% dei siti che contribuirono ad alimentare la sommossa e ad innescare la presa del Campidoglio di Washington continua a diffondere notizie false sulle elezioni truccate; e continua ad essere foraggiato con decine di milioni di dollari dalla pubblicità programmata daziende incuranti di chi finanziano.
Se è vero che “i maggiori nemici della democrazia sono le menzogne e la stupidità”– copyright Emmanuel Macron in un intervista a Le Parisien -, almeno lato menzogne gli americani sono davvero mal messi. La stampa Usa più qualificata s interroga come sia possibile che Trump mantenga la sua presa sull elettorato e sul partito repubblicani nonostante gli eventi del 6 gennaio (New York Times), e sul perché “il mondo continui a vedere qualcosa che non funziona nella democrazia americana” (Washington Post).
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dal blog di Luca DAuria
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Ma quella che il magnate ex presidente presenta come “persecuzione politico-giudiziaria” infiamma i suoi sostenitori e alimenta il suo sentimento donnipotenza: “Sono il preferito della gente– dice– di gran lunga”. Trump resta lopzione preferita dagli elettori repubblicani per Usa 2024, anche perché le potenziali alternative o sono suoi cloni (tipo la figlia Ivanka o il governatore della Florida Ron DeSantis) o sono percepiti come traditori dal popolo trumpiano (tipo lex vice Mike Pence o Nikki Haley).
Anche se ha rinviato il suo comizio a metà gennaio, lex presidente intende marcare lanniversario del 6 gennaio ripetendo che le elezioni gli furono rubate: non è vero– nessun giudice nell Unione ne ha trovato la minima prova -, ma molti suoi sostenitori ne sono convinti e molti notabili repubblicani fanno opportunisticamente finta di crederci.
I sondaggi dicono che lopinione pubblica è spaccata, lungo il crinale partitico, sulle responsabilità di Trump negli eventi del 6 gennaio: è la prova che il progetto di Joe Biden di “sanare i contrasti” della società americana, uscita profondamente polarizzata dai quattro anni della presidenza Trump, non ha finora avuto successo. Del resto, lelezione di Trump nel 2016 fu il frutto di divisioni già esistenti, non la causa. Che il tycoon le abbia poi acuite e approfondite è un dato di fatto.
Buona parte delle ragioni stanno in quell 81% e nella perdurante popolarità di palesi bufale, tipo elezioni rubate e complotti alla QAnon. Ma Trump può anche contare sull ignavia e sulla grettezza dei Congressmen repubblicani, che, in vista delle elezioni di midterm dell 8 novembre, badano più a conservare il posto che a tutelare la verità e la democrazia: se si mettono contro il mogul, rischiano di perdere le primarie repubblicane e il loro seggio ancora prima dandare al voto.
Lesempio più lampante lo dà Kevin McCarthy, capogruppo repubblicano alla Camera: il giorno dell insurrezione chiamò il presidente e cercò dindurlo a fermare i suoi sostenitori (sentendosi rispondere “E gente che mi vuole più bene di te”); oggi, scodinzola dietro a Trump e va a prendere ordini a Mar-a-lago, in Florida, dove il mogul s è trasferito.
Trump e i suoi sodali sono assediati dalla giustizia ordinaria e da quella politica: una commissione dinchiesta della Camera sta indagando sulle responsabilità della sommossa che mise a repentaglio la democrazia americana; i tribunali di mezza America stanno processando i caporioni dell insurrezione e i gruppi che la organizzarono e vi presero parte; e la magistratura di New York porta avanti lindagine sui conti della Trump Organization, la holding di famiglia.
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Le indagini su quanto avvenuto mostrano che lassalto al Campidoglio non fu casuale: almeno 650mila post che contestavano la legittimità delle elezioni e incitavano alla violenza politica inondarono Facebook advertisement opera di gruppi pro-Trump nelle settimane precedenti, al ritmo di 10mila post al giorno. I messaggi, analizzati da ProPublica e dal Washington Post, fecero da incubatori della sommossa, senza che il loro potenziale fosse capito né dallintelligence né dalle forze dellordine.
Anche per questo, oltre che per la facilità con cui la sicurezza fu sovrastata davanti al Congresso quel giorno, sono stati operati cambiamenti nei meccanismi di sicurezza del Campidoglio. Ma mentre i tribunali processano ProudBoys e sciamani, Trump e i suoi sodali non hanno mai smesso, dal novembre 2020 a oggi, di fare pressioni su responsabili federali, statali e locali per ribaltare lesito delle elezioni e continuano a sollecitarli. E poi il Washington Post si stupisce che “il mondo continui a vedere qualcosa che non funziona nella democrazia americana”.
Anche per questo, oltre che per la facilità con cui la sicurezza fu sovrastata davanti al Congresso quel giorno, sono stati operati cambiamenti nei meccanismi di sicurezza del Campidoglio. Ma mentre i tribunali processano ProudBoys e sciamani, Trump e i suoi sodali non hanno mai smesso, dal novembre 2020 a oggi, di fare pressioni su responsabili federali, statali e locali per ribaltare lesito delle elezioni e continuano a sollecitarli.
I sondaggi dicono che lopinione pubblica è spaccata, lungo il crinale partitico, sulle responsabilità di Trump negli eventi del 6 gennaio: è la prova che il progetto di Joe Biden di “sanare i contrasti” della società americana, uscita profondamente polarizzata dai quattro anni della presidenza Trump, non ha finora avuto successo. Del resto, lelezione di Trump nel 2016 fu il frutto di divisioni già esistenti, non la causa. Che il tycoon le abbia poi acuite e approfondite è un dato di fatto.